Milano è una delle città italiane in cui l’immigrazione è radicata e il processo di integrazione, pur con difficoltà, è in una fase molto avanzata. Quello che invece sembra diventato più problematico è il clima di opinione che si è venuto a creare verso gli immigrati. Da neo-assessore che città ha trovato?
Ho trovato la città che conoscevo. Quella che mostra comportamenti molto differenti.
Da una parte un livello di integrazione reale dato dai livelli di occupazione in più comparti del lavoro, dalla presenza dei bambini e dei ragazzi nelle strutture educativi e formative, dalla dimensione “quotidiana” delle relazioni. Dall’altra la paura ad effettuare un salto vero di qualità.
Che vuole dire passare dal discorso “privato” sull’immigrazione a quello pubblico.
Fatto di scelte precise ed assunzioni di responsabilità che sappiano affermare la cultura dei diritti di cittadinanza. Poiché, per farla breve si tratta di “persone” non di “braccia”.
Via Sarpi nelle descrizioni dei media sembra un luogo di marginalità estrema. Valutazioni dettate dai fatti di cronaca, eccessive, anche se sussiste un disagio legato a mancanza di alloggi che rischia di creare dei veri e propri ghetti. Cosa può fare l'amministrazione?
Cominciamo col dire che il quartiere Sarpi-Canonica è un quartiere nel quale si vive bene. Esistono alcuni problemi, seri, serissimi, ma non va affatto drammatizzata la situazione. Son ben altre le zone degradate della città. Detto ciò, dopo quindici anni di pauroso immobilismo l’amministrazione comunale vuole affrontare con decisione il tema dello spostamento delle attività commerciali all’ingrosso, che, oggettivamente generano problemi di coabitazione, convivenza e sono per me totalmente incompatibili in zona.
Poi intendiamo rafforzare le occasioni di incontro tra le culture. Affinché il tema della presenza contestuale degli antichi residenti e della comunità cinese non faccia perdere l’enorme opportunità del valore dell’intreccio tra, per l’appunto, culture diverse.
Ma su questo voglio essere chiaro: senza regole e legalità non si va da nessunissima parte.
Uno dei primi atti ufficiali della nuova amministrazione è stata l’istituzione del Tavolo sull’immigrazione formato da giovani di seconda generazione. Oltre a questo come pensa di favorire la partecipazione degli immigrati alla politica della città?
Innanzitutto preferiamo parlare di prime generazioni di milanesi piuttosto che di seconde generazioni. I ragazzi nati e cresciuti a Milano sono per noi cittadini milanesi a tutti gli effetti. È vero che la legge spesso non permette loro di esserlo, per questo abbiamo lanciato fin da subito la campagna “Una finestra sui tuoi diritti” attraverso la quale abbiamo inviato una lettera ai diciassettenni figli di stranieri informandoli delle modalità per ottenere la cittadinanza italiana. Risultato di questa azione è stato un incremento del 39.1% delle concessioni delle cittadinanze ai neodiciottenni. Questo dato ci ha spinto a replicare l’iniziativa anche nel 2012.
Non vogliamo però occuparci solo dei figli degli immigrati, ma desideriamo affrontare anche i problemi che i cittadini immigrati affrontano tutti i giorni soprattutto dal punto di vista burocratico.
Da qui nasce la volontà di sviluppare nei prossimi anni il primo Immigration Center italiano sull’esempio di quelli americani. Un unico spazio che possa essere un punto di riferimento per cittadini stranieri e associazioni, per le comunità e per i singoli immigrati che qui potranno chiedere informazioni e forse ben presto, appena la legge lo consentirà, espletare tutte le procedure inerenti la loro presenza sul territorio italiano ( rinnovo del permesso di soggiorno, ricongiungimenti familiari…).
Il percorso che porterà alla costruzione di questo spazio partirà dall’ascolto dei cittadini immigrati e delle comunità straniere presenti a Milano che per primi potranno condividere con l’amministrazione spunti e suggerimenti per definire al meglio la funzione che questo “hub”dovrà avere.
Una scelta coraggiosa, dopo le polemiche degli anni passati, è stata quella di riaprire gli asili anche ai figli degli immigrati irregolari. Più in generale, vedendo le graduatorie per i sussidi, l'edilizia popolare e altre forme di sostegno, gli immigrati vengono visti sempre più come “concorrenti”. Un pregiudizio che, con i continui tagli ai fondi sociali che subiscono i Comuni, rischia di accentuarsi. Come pensa si possa intervenire?
Andando avanti cocciutamente su questa strada. Non esistono persone di serie a e di serie b e questo vale sempre.
Nel suo ultimo libro, Togliendo il dolore dagli occhi (Italic, 2011), racconta la violenza inspiegabile della guerra nei Balcani, attraverso una storia di prigionia e torture. Storie che ai nostri occhi si materializzano con i molti rifugiati che arrivano in Italia ed ai quali non sappiamo dare un’accoglienza dignitosa…
Sì, è vero. Spesso chi arriva da posti lontani cerca qualcosa che non trova.
E però devo anche dire, e lo sto apprendendo in questi mesi, che il durissimo lavoro dell’accoglienza, della sua organizzazione, della sua capacità di farsi cultura della prossimità, cammina sulle gambe di storie reali di incontro, conoscenza, valorizzazione dell’altro da sé.
L’importante, guardando la cosa dal punto di vista di chi sta “dentro” le responsabilità istituzionali è “metterci la faccia”, fissare obiettivi e tentare di raggiungerli e non cavarsela attraverso le scorciatoie della paura.