13 settembre 2013 Accolta la class action contro i ritardi generalizzati dei procedimenti di rilascio del permesso di soggiorno CE. Il Tar Lazio ordina al Ministero dell’interno di individuare entro un anno i rimedi per concludere i procedimenti entro 90 giorni.
Con il sostegno di Cgil, Inca e Federconsumatori, un nutrito gruppo di cittadini stranieri ha presentato al Tar di Roma un ricorso, con un’azione collettiva pubblica (class action), contro il Ministero dell’interno ritenuto responsabile di non avere adottato misure adeguate per permettere di completare i procedimenti di rilascio del permesso di soggiorno CE entro 90 giorni, così come previsto dalla legge.
Con lo stesso ricorso, patrocinato dagli avvocati Vittorio Angiolini, Marco Cuniberti, Antonio Mumolo e Luca Santini, è stata anche sollevata la questione dei diversi orientamenti delle questure in merito ai requisiti richiesti per il rilascio del permesso di soggiorno CE ai familiari degli stranieri già in possesso di questo titolo. In particolare, è stato chiesto l’intervento del Tar per indurre il Ministero dell’interno ad emanare una disposizione affinché tutte le questure rilascino il permesso CE ai familiari anche se presenti in Italia da meno di cinque anni, adeguandosi così alla interpretazione dell’art. 9 del testo unico immigrazione fornita negli ultimi anni dalla giurisprudenza amministrativa.
I giudici del Tar Lazio, con sentenza del 6 settembre, hanno ammesso l’azione collettiva ed accolto la prima parte del ricorso, intimando al Ministero dell’interno di “porre rimedio a tale situazione di generalizzato mancato rispetto del termine di 90 giorni per la conclusione del procedimento di cui all’art. 9 del Tu immigrazione (concernente il rilascio ai familiari del permesso di soggiorno CE di lungo periodo) mediante l’adozione degli opportuni provvedimenti, entro un il termine di un anno, nei limiti delle risorse strumentali, finanziarie ed umane già assegnate in via ordinaria e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”.
Sulla questione dell’interpretazione della norma – come auspicato dai ricorrenti – il Tar ha invece dichiarato inammissibile la richiesta in quanto “un suo provvedimento – qualora venisse adottato – sarebbe invasivo delle attribuzioni del potere legislativo, il quale è il solo titolare della funzione di interpretazione autentica delle norme di legge”; inoltre, conclude la sentenza, lo stesso decreto legislativo 198/2009, fonte della “class action”, sembra comunque precludere al giudice di condannare l’amministrazione ad un facere specifico, tranne nel caso in cui si tratti della adozione dell’atto generale da emanarsi obbligatoriamente, e anche in questo caso senza poter entrare nel merito del contenuto dell’atto adottando. (Raffaele Miele)
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