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26 settembre 2013
Campi nomadi: spesi 100 milioni in sei anni per la gestione dei campi di Roma, Milano e Napoli.
“Segregare costa”, il dossier di quattro associazioni sui costi e i fallimenti delle politiche dei campi.

Oltre 100 milioni di euro per allestire, gestire e mantenere i “campi nomadi” di Milano, Napoli e Roma. Una “vera e propria economia da ghetto” analizzata in tutte le sue componenti dal rapporto Segregare costa curato da Berenice, Compare, Lunaria e OsservAzione e presentato ieri a Roma.
Un rapporto che prende in considerazione i capitoli di spesa delle diverse amministrazioni dal 2005 al 2011, per rispondere a chi giustifica il mantenimento dei campi e la mancata adozione di politiche abitative con la carenza di risorse pubbliche. “Il rapporto ricostruisce e analizza in dettaglio i costi e il fallimento delle politiche dei campi – spiega il testo – e denuncia l’urgenza di ripensare completamente i modelli e le pratiche di inclusione sociale e abitativa delle popolazioni rom”.
Per mantenere i campi a Napoli sono stati spesi “almeno 24,4 milioni di euro, a Roma almeno 69,8 milioni ai quali si aggiungono almeno altri 9,3 milioni di euro per i progetti di scolarizzazione, mentre a Milano circa 2,7 milioni di euro le spese accertate, ma il dato è parziale”. Interventi sociali di formazione e inserimento lavorativo che, nonostante gli stanziamenti, “non hanno raggiunto risultati significativi in termini di una reale autonomizzazione delle persone. Si tratta di soldi pubblici che potrebbero essere molto più utilmente impiegati in modo diverso: a tal fine è necessario che le istituzioni cambino del tutto il proprio approccio; non servono soluzioni ‘speciali’, ‘temporanee’ e ‘ghettizzanti’, ma progetti di inclusione abitativa, sociale e lavorativa finalizzati alla reale autonomizzazione dei rom”.
Secondo le quattro organizzazioni curatrici del rapporto, è arrivata l’ora di mettere fine ai “piani nomadi” sostituendoli con “Piani di chiusura dei campi nomadi”. “Questi ultimi non hanno naturalmente niente a che vedere con le vergognose politiche degli sgomberi – spiega il rapporto – che accompagnano le politiche dei campi. Pianificare la chiusura di questi ultimi significa prefigurare soluzioni abitative alternative, concordando con i residenti tempi e modalità del cambiamento”.
Le alternative possibili ci sono: “dal sostegno all’inserimento in abitazioni ordinarie o in case di edilizia popolare pubblica, all’housingsociale, alla promozione di interventi di auto-recupero di strutture pubbliche inutilizzate”.
(Red.)



 
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